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In questa sezione si dà la possibilità di ricevere consulenze on line (su qualsiasi problematica inerente l’educazione e la pedagogia) inviando le domande all'indirizzo mail gilberto.angione@pedagogisticlinici.org oppure info@pedagogisticlinici.org. Riceverete risposta al più presto tramite posta elettronica. Nel rispetto dell’anonimato, vi si chiede di fornirci il consenso affinché anche le vostre domande siano pubblicate su questo sito (nel qual caso, verranno scelte le più indicative, e saranno pubblicate ogni tre mesi).
ARGOMENTI TRATTATI: la cameretta può essere un luogo di punizione? comunicare il divorzio ai propri figli
D: Buongiorno. Ho letto le informazioni riferite all'amico immaginario, la mia domanda è: il mio bambino ha due anni e mezzo e da un po' di tempo dopo essersi specchiato nella ceramica della vasca da bagno parla di un amico immaginario, piange prima di andare a letto perché vuole che stia con lui e dice di lui che è solo, poi durante la giornata va in bagno a parlare con lui, e la mattina quando arriva all'asilo vuole che lo accompagni nelle varie stanze per cercarlo. Devo preoccuparmi? Preciso che il bambino frequenta l' asilo da settembre in modo regolare. Lo accompagno io, la madre, ogni giorno e vado a prenderlo io, molto raramente il papà. Dorme regolarmente, anzi è un grande dormiglione. Il pomeriggio si addormenta sempre con il papà, la sera alterna con me e mio marito (poiché lui lavora anche lunedì,mercoledì e venerdì sera dalle 21.30 alle 23.30). Routine: prima il latte e poi si dorme sempre con un oggetto diverso ogni sera al suo fianco (dorme con noi nel lettone perché così l' ho abituato io).Io non lavoro e sono sempre presente con lui. Mio marito lavora mattino, pomeriggio e 3 sere la settimana. Frequenta solo d'estate un parco giochi. E' figlio unico e frequenta quasi ogni pomeriggio la cuginetta di 4 mesi più piccola e raramente qualche altro bimbo. E' molto geloso delle sue cose,raramente le fa toccare mentre lui si appropria di giocattoli altrui e alle volte se li porta a casa. Porta ancora il pannolino e non dice quando fa pipì o cacca, raramente mi chiede di sederlo nel water ma non fa nulla. Ultimamente mi fa storie per cambiarglielo soprattutto quando fa la cacca perchè dice che ha paura di cadere dal fasciatoio. R: Cara signora le informazioni che mi ha fornito mi inducono a pensare che suo figlio stia elaborando una propria strategia per superare qualche difficoltà. Sembra che il piccolo non voglia stare da solo. L'amico immaginario diventa, quindi, colui che gli tiene compagnia. Diventa altresì lo strumento che il piccolo utilizza per ritardare il più possibile la separazione dalla mamma (la sera prima di andare a letto; il mattino prima di andare all'asilo, ecc.). Nulla di strano. I bambini, a questa età, diventano sempre più consapevoli che devono fare alcune cose anche contro la loro volontà. Cercano, quindi, di opporsi utilizzando gli unici strumenti che conoscono. Prima dell'addormentamento, ad esempio, piangono, chiedono ripetutamente l'acqua, chiedono (se non usano più il pannolino) di andare spesso in bagno, chiedono di ripetere la storiella che gli è stata appena raccontata, chiedono di stare con una miriade di pupazzetti e oggetti, chiedono che gli si tenga compagnia, ecc. Tutti atteggiamenti che richiamano l'attenzione degli adulti. Rientra nella norma. Tuttavia è opportuno che voi facciate un'indagine più approfondita per capire se ci sono motivi particolari che inducono il bimbo a non voler stare da solo: è successo qualcosa di particolare a casa, all'asilo o altrove? Sono cambiate le sue abitudini? E' cambiata la sua educatrice all'asilo? Ha subito un trauma? Se non c'è nulla di particolarmente rilevante potete stare tranquilli, a patto che il bambino non si faccia coinvolgere troppo dal rapporto con l’amico immaginario tanto da non voler giocare più con gli amici veri. In quest'ultimo caso contattatemi pure telefonicamente. Come vi dovreste comportare voi? Qualche utile indicazione la potete trovare in un mio precedente contributo. In aggiunta a ciò direi che, se ve la sentite di entrare nel mondo fantastico di vostro figlio, potreste coinvolgere l'amico immaginario nelle vostre routine. Ricordatevi che deve essere un gioco. Quindi, quando è opportuno che non si giochi più, non coinvolgete più l'amico immaginario. In altre parole, se il bambino ha bisogno di addormentarsi con l'amico immaginario, giocate con lui, cercatelo e fatelo coricare assieme a vostro figlio. Ma una volta che ci si è data la buona notte, si è spenta la luce, bisogna dormire. Si diventa seri e l'amico immaginario potrà sparire dalle vostre azioni. Ciò non significa che dovrà sparire dalle azioni e dalle fantasie di vostro figlio. Lasciatelo pure rapportarsi con questo amico immaginario. Siete voi che non dovete più coinvolgerlo (salvo che, in via eccezionale, la circostanza lo renda consigliabile). Infine, vi consiglio di disabituarlo ad addormentarsi con voi nel lettone. E' un comportamento che può avere riscontri non positivi. A tal proposito qualche utile indicazione e consiglio li potrete trovare in un articolo che ho pubblicato nella sezione “approfondimenti” di questo sito. Sperando di esserle stato di aiuto la saluto e mi rendo disponibile per ulteriori chiarimenti. dr. Gilberto Angione.
D: È opportuno utilizzare la cameretta come luogo di punizione? R: Direi proprio di no. Si creerebbero quelle dinamiche (cameretta uguale a punizione) che rischierebbero far associare la cameretta ad un senso di rabbia, di rifiuto e di risentimento. Il bambino potrebbe, quindi, non avere più piacere a stare da solo nella sua stanza. Ciò potrebbe essere anche una causa delle difficoltà di addormentamento che caratterizzano il sonno di tanti bambini. Questi ultimi, invece, dovrebbero sentirsi sicuri e soddisfatti all'interno della loro cameretta.
D: Buongiorno, ho tratto questo indirizzo di posta dal sito www.pedagogisticlinici.org. e scrivo nella speranza di ricevere risposta e consigli sul da farsi. Ho un bimbo di 6 anni, M., che fa la 1° elementare. Dopo iniziale periodo ok, M. manifesta un grosso disagio legato al difficile rapporto con un'insegnante di inglese che ha solo 2 ore/settimana, ma che fa stare male M. dalla domenica sera al mercoledì pomeriggio, dopo che è finita l'ora di inglese. M. da oltre un mese, nell'arco di questi 4 giorni, lamenta forte mal di testa, ripetendolo decine di volte al giorno tutte le volte che gli viene in mente la scuola (già esclusi disturbi gravi e in realtà, dopo lunga osservazione, sembra proprio che il mal di testa sia solo espressione del disagio), piange prima di andare a scuola, si lamenta con le altre maestre che provano, come me, a rassicurarlo senza troppo successo, tanto che spesso mi telefonano insieme al bambino perché lo rassicuri io. La maestra in questione, con la quale ho parlato, è realmente dura e anaffettiva, quasi un po’ sadica, avversata da tutte le colleghe per tali motivi,ha avuto molti precedenti analoghi nel corso degli anni (bambini che vomitavano o che sviluppavano svariati mali nel rapportarsi a lei), diversi richiami dal preside ed altro: nulla è servito. Prima di decidere di fare scelte drastiche come cambiare scuola a M., vorrei provare ad aiutarlo a risolvere il problema, a imparare a fronteggiare questa difficoltà, ma non so bene come. lui nega categoricamente di avere mal di testa per via della maestra di inglese (la quale gli ha detto "sono io che ti faccio venire mal di testa") e forse, in parte ha ragione,poiché ho il sospetto, al di là della presunta mostruosità dell'insegnante, che lui abbia involontariamente convogliato diffuse frustrazioni verso un bersaglio preciso, la maestra di inglese. o magari no. Sono tutte congetture sulle quali spesso, tra l'altro, cambio idea, perché sono abbastanza confusa anch'io e mi sento impotente di fronte alla sua disperazione. cosa fare? Come affrontare i suoi pianti e lamenti nelle giornate x (4 su 7)? Devo andarlo a prendere da scuola (l'ho fatto una volta anche su richiesta di una maestra)? devo essere dura? passerà? dobbiamo cambiargli scuola? Preciso, per completezza, che io e mio marito siamo solidali e concordi nel volerlo aiutare;mio marito si sta impegnando per essere un po’ più presente e io, dal canto mio, per essere un po’ meno protettiva poiché sicuramente l'insicurezza di M. dipende forse in gran parte dal rapporto che ha con me, è troppo mammone: su questo ci stiamo lavorando, ma adesso abbiamo bisogno, prima di curare la "malattia", di eliminare il sintomo. La prego, se possibile, di darmi qualche consiglio anche pratico su come comportarmi. Grazie infinite. Maria R: Gentilissima sig.ra Maria, è verosimile che il disagio mostrato da M. dipenda dai rapporti con l'insegnante di inglese. Non è detto che cambiare la scuola sia necessariamente la soluzione migliore (il messaggio che potrebbe giungere al bambino è che quando ci sono delle difficoltà è meglio andarsene piuttosto che affrontarle). Di contro diventerebbe inopportuno far vivere a vostro figlio uno stato di disagio scolastico permanente (che potrebbe avere come conseguenza una disaffezione verso l'inglese e verso lo studio in generale, nonché disturbi di personalità piùgeneralizzati). A ciò si aggiunga che, al di la della presunta mostruosità dell'insegnante, potrebbero esserci anche altre cause che generano il disagio mostrato da M. (cosa, questa, che avete ipotizzato anche voi). Alla luce di ciò diventa opportuno rivolgersi ad uno specialista per condurre un'accurata indagine anamnestica a cui potrebbero far seguito alcuni test diagnostici. Solo così potrete avere indicazioni più precise ed attendibili sul da farsi. Nel frattempo, in termini operativi, è importante che continuiate a dare ascolto ai disagi di M. mostrando comprensione e, al tempo stesso, autorevolezza: fategli capire che avete compreso il suo disagio e che state già facendo qualcosa per aiutarlo. Tuttavia questo disagio non deve diventare il pretesto per cedere ad eventuali forme di ricatto che il bambino può mettere in atto e che i genitori spesso accettano per compensare la situazione di difficoltà. In altre parole, fino a che non vi siete chiariti con uno specialista, dimostratevi affettuosi ed autorevoli. A quali specialisti ci si può rivolgere? Pedagogisti clinici, psicologi che lavorano con i bambini, pedagogisti. Sperando di esserle stato in qualche modo di aiuto, mi rendo disponibile per qualsiasi ulteriore chiarimento. Cordiali saluti.
D: Ho avuto modo di leggere il suo articolo sull’affido congiunto e la mediazione familiare. Ora, alla luce della nuova legge, vorrei sapere se mi può dare qualche indicazione in più. Vorrei avere anche qualche consiglio su come comunicare ai bambini (mia figlia ha sei anni) l’intenzione di separarmi da mio marito. R: Egregia signora, rispondo prima all’ultima sua domanda. In caso di separazione dei genitori, se nessuno spiega ai figli perché uno dei due coniugi se n’è andato di casa, il bambino si sentirà abbandonato, e vivrà nel timore che prima o poi anche l’altro genitore lo abbandonerà. I bambini hanno, quindi, bisogno di un filtro protettivo che li aiuti a “digerire” la separazione con il minor danno possibile. Un aiuto concreto è dato dalla comunicazione. Il bambino, compatibilmente con la sua età, deve essere informato per tempo delle intenzioni dei suoi genitori. Deve essere coinvolto in alcune decisioni e deve sentirsi comunque accettato e amato sia dal padre sia dalla madre. Non bisogna fornire spiegazioni troppo dettagliate o indicare colpe e responsabilità. Diventa invece necessario spiegare ai bambini che, nonostante la separazione, saranno sempre amati dai loro genitori. Se quest’ultimo punto diventa una certezza, anche la separazione sarà “digerita” in maniera meno traumatica. Ma cosa fare se i genitori non riescono a comunicare o se si sono costituite dinamiche coniugali troppo conflittuali? In questo caso si può ricorrere alla mediazione familiare, per la quale rimando a due miei approfondimenti: “separazione e mediazione familiare” e “L. 54/06 in difesa dei minori in caso di separazione”. In quest’ultimo contributo ptrà trovare le indicazioni relative alla sua prima domanda.
D: Buongiorno. Ho un figlio che ha quattro anni. È molto attivo e vivace. Direi che è quasi iperattivo. A tal proposito vorrei iscriverlo ad uno sport. Mi potreste dare indicazioni su quale sport è il più indicato? Posso iscriverlo a quattro anni? R: Buongiorno anche a lei. Per quanto concerne l’iperattività di cui mi parla non ho capito se è stata diagnosticata da qualche specialista o se si tratta di un suo modo di intendere una semplice vivacità di suo figlio. Con le poche informazioni che mi ha fornito nella mail non sono in grado di darle una risposta particolarmente precisa. In linea di massima il movimento e la pratica sportiva sono fattori positivi che contribuiscono al rafforzamento di importanti competenze sia fisiche sia psichiche. Bisogna adottare, comunque, alcune precauzioni. Ho colto, quindi, l’occasione per affrontare il discorso che può leggere nella sezione “approfondimenti” di questo sito. Sperando di averle fatto cosa gradita le porgo i più cordiali saluti.
D: Mia figlia ha 3 anni e 10 mesi. Da un po’ di tempo ha un amico immaginario con il quale gioca e parla spesso. Vorrei farLe due domande: è il caso di preoccuparsi? Come mi devo comportare? R: Direi che non è proprio il caso di preoccuparsi. Si tratta solo di una modalità con la quale sua figlia cerca di adattarsi al mondo degli adulti. Secondo alcuni studi autorevoli il 60% dei bambini di età compresa tra i tre e gli otto anni ha avuto un amico immaginario. Viene utilizzato per superare ostacoli o difficoltà di cui preferisce non parlare con gli adulti o con gli amici. Rende i bambini più sicuri e fornisce gli stimoli per affrontare situazioni difficili. Talvolta l’amico immaginario è utilizzato come compagno di giochi, utile ai bambini per non sentirsi soli o per condividere una serie di esperienze. In altri casi si tratta di un vero e proprio alter – ego al quale i bambini attribuiscono desideri, intenzioni, capricci, bugie, paure. Su di lui possono scaricare colpe o responsabilità e, attraverso la finzione, possono dire cose o rilevare stati d’animo che altrimenti resterebbero inespressi. Per rispondere alla sua seconda domanda posso fornirle alcuni consigli:
R: Innanzitutto è necessario precisare che le punizioni non sono tutte uguali. Tuttavia è bene tenere presente che i bambini, attraverso l’osservazione e l’imitazione degli adulti, acquisiscono atteggiamenti e comportamenti che li accompagneranno nel corso della vita. Esiste, infatti, una diretta correlazione tra le punizioni subite nell’infanzia e il comportamento aggressivo dei giovani e degli adulti. Il più delle volte, quando un bambino fa i capricci sta comunicando un suo malessere nel solo modo che gli sembra congeniale. È un modo che dipende dall’età e dalla sua esperienza. Cerca attenzioni da parte degli adulti di riferimento. Questi ultimi, al giorno d’oggi, sono spesso stanchi e non colgono appieno il significato delle richieste dei bambini. Ne scaturisce, da parte degli adulti, un comportamento che denota scarsa pazienza. Ma è veramente giusto punire un bambino che in realtà si limita a reagire in modo naturale alla disattenzione verso i suoi bisogni? Inoltre, i castighi non consentono al bambino di imparare come risolvere e gestire i conflitti in modo ragionato ed efficace. Un bambino punito è concentrato sui propri sentimenti di dolore di rabbia e vendetta, e così viene privato della possibilità di risolvere i problemi in maniera creativa. L’educazione e il rispetto devono basarsi su un forte legame fondato su sentimenti di reciproco amore e considerazione. I castighi possono produrre risultati apparentemente efficaci. In realtà generano paura e, successivamente, assuefazione. In altre parole, un bambino che subisce punizioni adotterà un “buon comportamento” solo perché teme la punizione. Ben presto questa paura si trasformerà in abitudine, e per ottenere quel “buon comportamento” si dovrà ricorrere ad altre vie di fatto. Anche queste ultime, dopo un po’, rischieranno di diventare routine e perdere la loro efficacia. Si entra così in un circolo vizioso dal quale è molto difficile uscire: quando le punizioni non ottengono i risultati voluti, e il genitore è ignaro di metodi alternativi, le punizioni possono aggravarsi con azioni sempre più frequenti e pericolose. Di contro la cooperazione basata sul rispetto, sulla fiducia e sulla coerenza consente un’efficace interiorizzazione dei valori e delle regole. Inoltre le punizioni, anche se si tratta di piccole e apparentemente innocue sculacciate, esprimono il messaggio della “legge del più forte”, secondo cui è ammissibile colpire gli altri purché questi siano più piccoli e meno forti. Un insegnamento gentile ed empatico, sostenuto da solide fondamenta di autorevolezza, di amore e di rispetto, costituisce la strada più efficace per ottenere l’interiorizzazione dei valori e, di conseguenza, un buon comportamento non fondato sulla paura.
D: Egregio Dottore. Ho ricevuto la vostra newsletter e voglio farle i complimenti per la vostra lodevole iniziativa. Vorrei porle un quesito: mia figlia ha nove anni. Dal momento che faceva un uso spropositato della televisione, ho deciso di non fargliela più vedere dicendole che era rotta. Ho nascosto la televisione per qualche mese. Ora, a distanza di tempo, la ho reintrodotta. Adesso mia figlia non la guarda più con l’assiduità di prima. Penso che il sistema che ho adottato ha funzionato. Vorrei sapere da Lei se il mio agire è stato corretto. Cordiali saluti. R: Egregio signore. La ringrazio per i suoi apprezzamenti. In merito a quanto mi ha chiesto ritengo che nascondere la televisione a sua figlia, per quanto funzionale, non sia stata la soluzione migliore dal punto di vista pedagogico. Sarebbe stato più opportuno aiutare sua figlia ad avere un atteggiamento critico nei confronti della Tv, fornendole gli strumenti per un suo utilizzo libero e consapevole. Una valida soluzione, ad esempio, sarebbe potuta essere quella di guardare assieme la televisione commentando le immagini, i programmi e concertando i tempi da dedicarle. È opportuno, infatti, aiutare i ragazzi a proteggersi autonomamente dagli effetti negativi della televisione. Inoltre esiste una serie di programmi televisivi di qualità che favoriscono la crescita e la formazione. Spero, scrivendo un articolo di approfondimento sull’argomento che potrà trovare nella sezione “approfondimenti” di questo sito, di farle cosa utile e gradita. Le porgo, quindi, i più cordiali saluti.
D: Vorrei porle il seguente quesito: sono in gravidanza e ho un cane di grossa taglia. È opportuno che il cane e mio figlio, quando nascerà, stiano assieme o è meglio lasciare, almeno per un periodo, il cane da amici o parenti? R: Egregia signora, molto dipende dall’indole del suo cane. Se questo non è aggressivo direi che può stare tranquilla perché il cane accetterà senza alcuna difficoltà il bambino considerandolo un nuovo membro del “branco”. Esiste,comunque, una serie di consigli che sarebbe opportuno seguire per una buona convivenza:
È importante abituare il bambino al rispetto del cane affinché capisca che questo non è un gioco. Infine, per una questione di sicurezza, non lasciare mai il cane solo con il neonato, potrebbe sempre avere dei comportamenti imprevedibili. Vorrei concludere questo mio contributo portandola a conoscenza di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Medical College of Georgia ad Augusta insieme ad alcuni loro colleghi dell’Henry Ford Health System di Detroit secondo i quali i bambini che durante il primo anno di vita sono esposti alla presenza di cani e gatti, patiscono meno allergie (negli anni a seguire) rispetto i loro coetanei che vivono in famiglie senza animali domestici. Spero di esserle stata di aiuto. Cordiali saluti.
D: Mi chiamo Angela, e sono la nonna di una bellissima bambina di 11 mesi. Chiara, mia nipote, è una bimba che non dà problemi, non piange quasi mai, se la metto a giocare in una stanza, gioca e non cerca i genitori. Vorrei sapere se è giusto che Chiara si comporti così o non sarebbe meglio che, quando non ci sono i genitori o i nonni, si metta a piangere come fanno quasi tutti gli altri bambini. R: Gentile signora Angela, le Sue osservazioni trovano riscontro nella pedagogia: un bambino perfettamente autonomo, che non cerca l’affetto o la presenza dell’adulto di riferimento, non è detto che stia bene. Le fornirò qui di seguito, e in maniera estremamente schematica, alcuni pattern dell’attaccamento. Li consulti e provi a valutare se Chiara rientra in una di queste tipologie. Sarò comunque disponibile per ulteriori chiarimenti. Nel qual caso, non abbia remore nel contattarmi. 1. Attaccamento sicuro: il bambino ha fiducia che la madre sarà disponibile, presente e attiva nel dare aiuto quando richiesto; 2. Attaccamento ansioso - resistente: il bambino è incerto se la madre sarà disponibile, presente e attiva nel dare aiuto quando richiesto; 3. Attaccamento ansioso - evitante: Il bambino non ha alcuna fiducia nel fatto che quando cercherà protezione, riceverà una pronta risposta, ma anzi si aspetta di essere rifiutato. 1. Previsione di evoluzione nell’attaccamento sicuro: Bambino: - Esplora l’ambiente circostante - Entra in relazione - Pieno di risorse - Ben socializzato - Aumenta il suo impegno di fronte alle difficoltà - Fiducia e ottimismo - Cerca la mamma in caso di difficoltà, e si rassicura quando la trova; 2. Previsione di evoluzione nell’attaccamento ansioso - evitante: Bambino: - Insicuro - Incline a provare l’ansia di separazione - Paura di esplorare l’ambiente circostante - Altamente egocentrico - Eccessivamente impulsivo - Frustrato -Passivo - Poco impegnato di fronte alle difficoltà - Non fiducioso -Pessimista; 3. Previsione di evoluzione nell’attaccamento ansioso - evitante: Bambino: - Cerca di vivere la propria vita in autonomia (senza l’amore e il sostegno degli altri) - Chiusura emotiva - Aggressivo - Antisociale - Eccessivamente egocentrico - Con probabili disturbi. Precisando che, comunque, tali previsioni sono assolutamente indicative e richiederebbero un periodo di osservazione effettuato da uno specialista, le porgo i più distinti saluti.
D: Buongiorno. Sono una donna che sta attraversando un momento travagliato e poco felice della sua vita. Mi sto separando da mio marito e stiamo decidendo come gestire l’affidamento dei nostri due bambini di 4 e 6 anni senza ricorrere al tribunale dei minori. Sia io che mio marito vorremmo tenerli con noi. Le chiedo se è opportuno pensare che i bambini stiano un periodo con me e uno con mio marito (ad esempio un mese a testa). R: Egregia signora. Mi fa piacere che, nonostante il momento poco felice che state attraversando, siete alla ricerca di un accordo extragiudiziario ed entrambi avete l'intenzione di dedicarvi ai vostri figli. Tuttavia, la soluzione che mi ha prospettato, prevista anche dal nostro ordinamento giuridico, consiste nel cosiddetto “affido alternato”. È una formula che ha notevoli risvolti negativi sui bambini in quanto questi verrebbero continuamente “sradicati” dal loro ambiente domestico. Nel prendere decisioni che riguardano l’affido è necessario, infatti, privilegiare l’interesse dei minori, e l’affido alternato risulta (rispetto a quello congiunto) una possibilità residuale, sperimentabile se i genitori stabiliscono la propria residenza in altra città, o se hanno condizioni lavorative che permettono loro di occuparsi solo in determinati periodi dei figli, ma sono comunque coinvolti nella loro vita e mantengono contatti costruttivi con l’altro genitore. Dal momento che l’argomento in questione è particolarmente ampio e delicato ho pensato, anche per fornirle una risposta un po’ più esauriente, di scrivere un articolo che può trovare nella sezione “approfondimenti” del presente sito. Nella speranza che ciò le possa essere di aiuto, le porgo i più cordiali saluti.
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