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Laboratorio pedagogico teatrale per adolescenti. 

A cura della dott.ssa Sadile Giulia

 

Sulla base delle esigenze dei ragazzi ,  è stato progettato il laboratorio “Pedagogia e teatro”  che ha

completato un percorso pedagogico- didattico  triennale  , iniziato in prima con la disponibilità quindicinale da parte del docente di lettere ,  che è anche pedagogista clinica , all’ascolto delle varie problematiche che ostavano il regolare svolgimento delle attività scolastiche.

Il laboratorio teatrale  è stato progettato per  perseguire e potenziare  varie finalità :

bulletmodificare  alcuni atteggiamenti comportamentali e relazionali non modificabili solo con la volontà;
bulletmigliorare la comunicazione tra i pari senza l’intervento diretto dell’adulto di riferimento
bulletoffrire  la  possibilità ad ogni studente di operare nel pieno rispetto della libertà personale, senza limitare quella  altrui
bulletrenderli consapevoli dei propri comportamenti
bulletriavvicinarli allo studio di determinate materie scolastiche
bulletaumentare l’autostima.

E’ solo attraverso la libera espressività artistica  che si offre ai ragazzi l’opportunità di

vivere un’esperienza comune, per stimolare e facilitare la  riflessione, la

conoscenza di sé, dei propri bisogni e dei propri disagi e quindi di offrire l’occasione

di diventare responsabili e protagonisti della proprie  esperienze , ma anche  di

riavvicinarsi allo studio di determinate materie scolastiche .

Con l’utilizzo di varie tecniche espressive sono state stimolate e potenziate la cooperazione e il senso di appartenenza  al gruppo e, senza il timore di essere additati   i ragazzi  hanno migliorato  sia la comunicazione sia l’autostima.

Modalità  e strumenti:

Insieme ai ragazzi , in gruppo di massimo 16 per volta  abbiamo definito le linee guida del percorso con l’obiettivo iniziale di costruire un canovaccio  trasformabile  in semplici dialoghi  che ciascuno di loro  poteva interpretare liberamente e liberamente poteva  modificare  drammatizzandolo.

Le modifiche apportate di volta in volta sono state tante e sono scaturite sia dalla necessità interiore di chiarezza  sia  di purezza  e originalità di pensiero.

Le ultime modifiche sono state apportate al momento della recitazione  il giorno della rappresentazione per i genitori.

La caratteristica  che distingue questo  genere di laboratorio è che i ragazzi  recitano la propria storia e non un copione già scritto da altri.

La loro libertà di espressione e di creatività, è stata garantita dalla metodologia dell’atelier, cioè dall’utilizzo di un ambiente strutturato diversamente dall’aula scolastica ed è stato agevolata dall’utilizzo della maschera costruita con materiale vario e utilizzato come catalizzatore di contenuti e potenzialità espressive verbali e non verbali. Anche l’elemento sonoro ritmico e musicale ha agevolato la comunicazione non verbale e attivato processi di socializzazione.

Il titolo della rappresentazione:”Una scelta importante! Quante emozioni, quante paure!” in due atti di due scene, è stato  ideato quindi completamente  dai ragazzi di  terza media  e coordinato dalla sottoscritta.

Ha avuto come protagonisti 25 alunni di età compresa tra i 14-15 anni  che hanno sentito la necessità di rappresentare

la realtà in cui vivono per esprimere i propri  sentimenti, le proprie emozioni , le proprie paure , le proprie perplessità  nel modo più naturale.

 La tematica  affrontata ,  precisano i ragazzi stessi , è comune a tutti i nostri coetanei  e l’abbiamo preferita ad altre proprio perché ne abbiamo sentito la necessità .

Il risultato è stato sicuramente positivo e  gratificante  per i ragazzi e per chi li ha guidati soprattutto per la grande atmosfera di partecipazione di gruppo che si è potenziata e  che ha stimolato al meglio il piacere della condivisione e della solidarietà, valorizzando il lavoro cooperativo ricco di momenti di riflessione e di confronto su tematiche esistenziali .In definitiva si parla anche di  un risultato di non  conflitto tra le parti , proprio perché spontanei ,creativi, autovalutativi, collaborativi quindi ==accordo tra persone diverse per carattere == Non conflitto.

Non si può trascurare  e quindi non sottolineare che  il contributo personale di ciascun alunno è stato fondamentale per l’esito positivo del lavoro svolto.

Le difficoltà incontrate sono state tantissime, ma sono state di volta in volta superate con grande senso di responsabilità  soprattutto  da parte dei ragazzi  che hanno dato sempre la loro disponibilità a qualsiasi cambiamento orario da effettuare anche quando oberati da altri sovrapposti impegni , sia da parte mia , con grande  spirito di divertimento e spensieratezza.

Ci siamo divertiti tanto, hanno dichiarato i ragazzi alla fine del percorso, anche se ci siamo messi in gioco tutti e tutti abbiamo dovuto superare mille difficoltà, prima fra tutte la timidezza e la paura di essere giudicati.

Grazie  prof. per averci aiutato a crescere! Questo è il commento finale di tutto il gruppo teatrale. Questo lo scopo pedagogico-educativo perseguito negli anni e in special modo  di tutto il lavoro svolto.

 

                                                                                                      Responsabile del progetto

                                                                                                            Giulia Sadile

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Ulteriori precisazioni da parte della signora Caterina

 La ringrazio infinitamente per avermi risposto con sollecitudine e competenza.
Per completezza, mi sembra giusto rispondere alle sue richieste di precisazione, anche perchè l'idea che pietro possa avere una sorta di disturbo affettivo- relazionale, mi fa andare molto in crisi, spero che non sia proprio così e in ogni caso mi sembra che meriti un approfondimento.
pietro ha una sorella che ha tredici mesi in più, con la quale ha un legale molto forte, tanto amore per tanti litigi. rappresenta sicuramente un confronto un pò duro per lui, poichè è molto brava a scuola e comunque ha sempre tiranneggiato il fratello, il quale reagisce da sempre con pianti e lamenti e noi spesso lo difendiamo.
pietro ha una personalità spiccata, nel bene e nel male; è un bambino sensibile, acuto osservatore, interessato a tutto ciò che lo circonda; da piccino era un molto simpatico - lo chiamavamo cuor contento - poi, crescendo ha manifestato alcuni aspetti che ne hanno minato il carattere solare: è diventato polemico e lamentone e testardo in modo esagerato, quando si convince di una cosa è durissimo fargli cambiare opinione a riguardo ed è molto insistente, spesso ha ottenuto ciò che voleva a forza di insistenza. ha alcune piccole manie sulle quali abbiamo sempre riso e che rifiuta di modificare, come portare solo pantaloni corti anche in inverno e fare la cacca tutto nudo; è andato all'asilo nido a cinque mesi e quindi la sua "carriera scolastica" è antica, all'asilo non ha mai avuto particolari difficoltà. le dade mi hanno riferito il primo anno di materna che pietro cercava continue conferme dagli adulti, rapportandosi più a loro che ai compagni, ma l'ultimo anno mi hanno detto che era molto maturato e l'hanno sempre dipinto come un bimbo molto determinato.ha sempre avuto buoni amici che tuttavia non ha ritrovato a scuola.
col papà ha un buon rapporto, fondato soprattutto sul gioco e il papà è anche comunque quello più severo.
quando viene sgridato veramente da me o dal papà, pietro se la prende molto a cuore,a differenza della sorella che si butta le sgridate dietro le spalle.
io,invece sono proprio il suo orsacchiotto, è molto coccolone e mammone e, a dispetto della sua apparente sicurezza, definirei pietro molto immaturo affettivamente, poichè ancora dorme parte della notte con me e vuole che io o qualcun altro gli stia accanto prima di addormentarsi.sia io che mio marito siamo lavoratori autonomi,ci si vede la sera coi bambini (io li vedo anche a pausa pranzo ogni tanto)e si passano insieme i week-end; all'uscita da scuola i bimbi hanno per fortuna ben quattro fantastici nonni a loro disposizione.abbiamo molti amici grandi e piccoli che frequentiamo abitualmente.
insomma pietro ha sì degli aspetti del carattere che non gli fanno onore, ma non ha mai manifestato disagi come quello attuale che ci abbiano fatto pensare ad un segnale di sofferenza affettiva.
le altre maestre mi hanno parlato bene di lui, è competente, rapido nell'esecuzione, aiuta gli altri compagni, ha un comportamento corretto. lui, dal canto suo, si è calato forse troppo nel ruolo del "bravo bambino" ed è molto esigente con se stesso. ho notato che adesso quando va a letto, se non dice che ha mal di testa, ripassa a bassa voce le parole di inglese che ha imparato. io e il papà, vista questa tendenza, abbiamo cominciato a smitizzare un pò la scuola,a raccontargli delle punizioni che anche noi prendevamo (visto che l'ansia dell'inglese è cominciata con una punizione inflittagli, a suo dire, ingiustamente e senza preavviso). lo rassicuriamo sempre, dicendo che capiamo il suo mal di testa, ma che gli passerà, gli diciamo che la maestra anche se è un pò brusca vuole bene ai bambini e che lui imparerà benissimo l'inglese grazie a lei e che se anche adesso non lo capisce non c'è problema. ma la verità è che tutto ciò sembra inutile.
lui continua a stare bene ed è sereno e vivace  dal giovedì alla domenica, mentre sta male dal lunedì al mercoledì (giorni di inglese). ultimamente ho notato anche che è un pò aggressivo, l'altro giorno ha tirato i capelli ad un amichetto che era a casa nostra(comportamento che di solito non ha) e ha dato sberle alla sorella perchè non capiva un gioco.
preciso che la maestra non gli ha chiesto se era lei a causargli il mal di testa, glielo ha detto. e ribadisco che si tratta di una persona che avrebbe dovuto fare un altro mestiere, per usare un eufemismo. ma tant'è.
Ogni parere o consiglio che vorrà darmi sarà per me spunto di riflessione.
La ringrazio ancora tanto e Le auguro buon lavoro.
caterina



R: Gentilissima Signora Caterina.

 Mi ha fatto piacere ricevere ulteriori informazioni riguardo  il piccolo*****. Da quanto lei stessa mi racconta, suo figlio ha frequentato l’asilo nido dall’età di cinque mesi senza evidenziare alcuna difficoltà  .

Nel passaggio alla  scuola materna però, durante il primo anno, cercava continue conferme dagli adulti di riferimento, con cui si rapportava di più che non con i suoi compagni , difficoltà che  ha chiaramente superato nell’arco dei tre anni di vita comunitaria,  riuscendo ad instaurare un buon rapporto con tutti adulti e pari.

 Io credo che sia  scattato in lui la convinzione che con i compagni potesse accadere  un po’ quello che accadeva a casa con la sorella che lo “tiranneggiava “ e lui reagiva con pianti e lamenti e i genitori lo difendevano.

E’ evidente allora che ****** ha bisogno di un tempo maggiore per ambientarsi e per imparare a fidarsi degli insegnanti e dei  nuovi compagni. E’ anche  evidente che ha bisogno di sentirsi sicuro e rassicurato ; apparentemente dimostra  sicurezza, ma  affettivamente è insicuro e vuole dormire ad esempio  in compagnia della mamma per una parte della notte oppure  vuole qualcuno vicino prima di addormentarsi.

 Quindi in qualche modo il piccolo teme il distacco e richiede compagnia fino a che non si addormenta.

Inoltre  io credo che ****** debba  cominciare a sentirsi dire anche “no” da voi genitori a delle richieste che non ritenete giuste e che dovranno aiutarlo a crescere e che naturalmente  concorderete insieme.

Dovete seguire la stessa linea di comportamento nei suoi riguardi  perché dovrà imparare a sopportare la frustrazione del “no”.

Se vi accorgerete però che il mal di testa  non tende a  scomparire o verrà sostituito da altri malesseri , tipo mal di pancia e/o di stomaco , non perdete altro tempo e rivolgetevi ad uno specialista sia esso pedagogista clinico o pedagogista di vostra fiducia per analizzare la situazione da un punto di vista anamnestico  più preciso e arrivare così ad una diagnosi pedagogico-clinica e se necessario stabilire così un adeguato intervento di aiuto, che prima sarà effettuato meglio sarà per tutti, prima per il benessere di Pietro.

Spero di esserle stata in qualche modo di aiuto e nel salutarla cordialmente  la ringrazio per avermi contattata.

Dott.ssa Giulia Sadile

 Pedagogista Clinica

 3358107075
 www.pedagogisticlinici.org

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D: Buongiorno, ho tratto questo indirizzo di posta dal sito www.pedagogisticlinici.org. e scrivo nella speranza di ricevere risposta e consigli sul da farsi. ho un bimbo di 6 anni, M., che fa la I elementare. dopo iniziale periodo ok, M. manifesta un grosso disagio legato al difficile rapporto con un'insegnante di inglese che ha solo 2 ore/settimana, ma che fa stare male M. dalla domenica sera al mercoledì pomeriggio, dopo che è finita l'ora di inglese. M. da oltre un mese, nell'arco di questi 4 giorni, lamenta forte mal di testa, ripetendolo decine di volte al giorno tutte le volte che  gli viene in mente la scuola (già esclusi disturbi gravi e in realtà, dopo lunga osservazione, sembra proprio che il mal di testa sia solo espressione  del disagio), piange prima di andare a scuola, si lamenta con le altre maestre che provano, come me, a rassicurarlo senza troppo successo, tanto  che spesso mi telefonano insieme al bambino perchè lo rassicuri io. la mestra in questione, con la quale ho parlato, è realmente dura e anaffettiva, quasi un pò sadica, avversata da tutte le colleghe per tali motivi,ha avuto molti precedenti analoghi nel corso degli anni (bambini che vomitavano o che sviluppavano svariati mali nel rapportarsi a lei), diversi richiami dal preside ed altro: nulla è servito. Prima di decidere di fare scelte drastiche come cambiare scuola a M.,  vorrei provare ad aiutarlo a risolvere il problema, a imparare a fronteggiare questa difficoltà, ma non so bene come. lui nega categoricamente di avere mal di testa per via della maestra di inglese (la quale gli ha detto "sono io che ti faccio venire mal di testa")e forse, in  parte ha ragione,poichè ho il sospetto, al di là della presunta mostruosità dell'insegnante, che lui abbia involontariamente convogliato diffuse frustrazioni verso un bersaglio preciso, la maestra di inglese. o magari no. sono tutte congetture sulle quali spesso, tra l'altro, cambio idea, perchè sono abbastanza confusa anch'io e mi sento impotente di fronte alla sua disperazione. cosa fare? come affrontare i suoi pianti e lamenti nelle giornate x (4 su 7)? devo andarlo a prendere da scuola (l'ho fatto una volta anche su richiesta di una maestra)? devo essere dura? passerà? dobbiamo cambiargli scuola? preciso, per completezza, che io e mio marito siamo solidali e concordi nel volerlo aiutare;mio marito si sta impegnando per essere un pò più presente e io, dal canto mio, per essere un pò meno protettiva poichè sicuramente l'insicurezza di M. dipende forse in gran parte dal rapporto che ha con me, è troppo mammone: su questo ci stiamo lavorando, ma adesso abbiamo bisogno, prima di curare la "malattia", di eliminare il sintomo. La prego, se possibile, di darmi qualche consilgio anche pratico su come comportarmi. grazie infinite.

 R: Gentilissima  Signora Maria.

Ho letto  con attenzione la Sua richiesta di aiuto per il piccolo M., che indubbiamente, con il suo mal di testa, manifesta un grande disagio che quanto prima deve essere risolto nell’interesse di tutti.  E’ evidente che  il carattere troppo severo e forte dell’insegnante di inglese gli crea uno stato di  disagio che sfocia nel mal di testa , dolore che prova  fino a che non sa che si rapporterà  con  persone con cui si sente più sicuro, persone che comunque seguono la stessa linea di condotta di Lei mamma che si è dichiarata molto protettiva.

M., quindi, si fida delle insegnanti e sa che quando sta male, Le telefonano per rassicurarlo o per tornare a casa.

Questa linea di condotta poteva  andare  bene all’inizio della manifestazione del  disagio, visto che M. ha solo 6 anni,  ma, a parer mio, non la si può perpetuare nel tempo perché comunque M. non vive bene la vita scolastica. È necessario risalire alle cause effettive per poterle rimuovere.

Alla base  di tutto  potrebbe esserci una certa  insicurezza nei rapporti affettivi tale da farlo star male.

Le chiedo: M. è figlio unico? Ha frequentato la scuola materna? Se si come ha vissuto quell’esperienza scolastica e comunitaria? Perché secondo lei vuole  tornare a casa? Qual è il rapporto che M. ha con i suoi compagni di classe attuali? E con il suo papà?

Io credo che sempre più spesso il distacco dalla famiglia e il relativo ingresso nella scuola  evidenziano problemi affettivo-relazionali, le cui cause sono molteplici e non sempre d’immediata individuazione da parte né degli operatori scolastici né della famiglia stessa. Operatori che, spesso, intuiscono le problematiche che sottendono il disagio ma non possono far altro che segnalare la situazione alla famiglia chiedendo l’intervento di una figura professionale competente quale può essere il Pedagogista Clinico presente sul territorio.

Lei ha il sospetto che M. abbia convogliato diffuse frustrazioni verso un bersaglio preciso e che magari possa esserci dell’altro.

Quando il piccolo si lamenta è chiaro che come mamma si soffra e ci si senta impotenti, però di fronte a tali manifestazioni mi piacerebbe capire come Lei e Suo marito reagite. E’ un punto importante, perché io sono del parere che non sia educativo e quindi utile scaricare tutto sull’insegnante , anche se magari è così in apparenza; il fatto è che bisognerebbe tranquillizzarlo , ma nello stesso tempo fargli capire che non tutti agiamo e la pensiamo allo stesso modo . Magari fargli sentire il conforto nel dire che la maestra d’inglese forse è un po’ più dura rispetto alle altre, ma ella non si comporta così perché vuole vederlo soffrire.

In questo modo credo che il piccolo comincerebbe  a riflettere su quanto sentito dire  dai genitori,  anche perchè sicuramente la maestra nel chiedergli se è  lei la causa del suo mal di testa, gli dirà  di sicuro che non vuole che lui stia male. Credo che  così comincerebbe a spezzarsi il circolo chiuso in cui è entrato Suo figlio e magari piano piano comincerebbe  ad allentare e a liberare le sue tensioni interne e prima o poi comunicherebbe in qualsiasi modo la causa del suo disagio.

Quindi sono del parere di non portarlo a casa quando la chiamano da scuola, anche perché fa parte della funzione docente trovare le strategie giuste per tranquillizzare i piccoli in difficoltà. D’altra parte in quasi tutte le scuole sono attivi gli sportelli di consulenza pedagogica, a cui gli insegnanti potrebbero rivolgersi per essere aiutati a capire quali strategie pedagogico-didattiche attuare con M..

Anche l’ipotesi di cambiargli scuola deve essere valutata molto scrupolosamente, perché non bisogna passare il messaggio che alla prima difficoltà si cambia percorso senza prima sapere il motivo del disagio. Mi spiego meglio.

Solo dopo aver consultato uno specialista che effettua un’anamnesi completa prima con voi genitori e poi, se è il caso, con il bambino, e formula una diagnosi pedagogico-clinica, , si può valutare l’ipotesi di far vivere il piccolo M. in un altro contesto scolastico.

Resto a Sua completa disposizione per qualsiasi altro chiarimento o consulenza.

 

dott. Giulia SADILE

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D: I ragazzi non rispettano le regole di convivenza civile e sono spesso in conflitto sia con i pari stessi sia con gli adulti di riferimento. Le chiedo come esperta in materia: ”Come poter migliorare la relazione comunicativa tra ragazzi e ragazze adolescenti, divisi in piccoli gruppi in conflitto tra di loro? E  di conseguenza con gli adulti a cui spesso rispondono male, mancando di rispetto e di educazione?"

R: Alcuni docenti delle scuole medie di 1° vivono la loro quotidianità in contrasto con la mentalità propria dei giovani che, in questa fase delicata  della loro vita, sono abbastanza disorientati per vari motivi. Per migliorare i rapporti interpersonali tra ragazzi e ragazze bisogna offrire loro l’opportunità di vivere un’esperienza comune non di ordine didattico curriculare, ma un’esperienza extrascolastica, per stimolare e facilitare la riflessione, la conoscenza di sé, dei propri bisogni e dei propri disagi e, quindi, offrire loro l’occasione di diventare responsabili e protagonisti della loro esistenza. Parlo di un intervento pedagogico clinico fatto su tutta la classe divisa in gruppi con cui condurre un’attività laboratoriale di libera espressività, basata su una serie di attività artistico-espressive quali la musica, la danza, la poesia, la pittura che mettono il gruppo in condizioni di poter modificare alcuni atteggiamenti comportamentali e relazionali e migliorare la comunicazione tra i pari senza l’intervento diretto del referente del gruppo che lavora con loro senza interferire nelle loro scelte, senza giudicare e, di conseguenza, senza valutare il prodotto finito (elementi di fondamentale importanza per il buon esito del percorso e per far sì che ogni ragazzo operi nel pieno rispetto della libertà personale, senza limitare la libertà altrui, con l’intento di renderli consapevoli dei propri comportamenti).

Con un intervento di questo tipo si è riusciti a modificare l’aspetto relazionale conflittuale che dominava e condizionava la vita scolastica di una classe seconda media, i cui componenti alla fine del progetto si sono sentiti di appartenere tutti al grande gruppo classe con tutte le sue caratteristiche; accettati per quello che sono e più sicuri di agire sapendo di non essere pesantemente giudicati. "E’ stato piacevole", hanno verbalizzato, "ritrovarsi fuori orario scolastico per svolgere delle attività che, non sottoposte ad alcuna forma di giudizio e quindi di valutazione e confronto, ci hanno permesso di lavorare serenamente e con allegria".

Inoltre hanno evidenziato la pace regnante nel gruppo, verbalizzando senza mezzi termini le cause scatenanti il putiferio in classe.

In definitiva posso affermare che l’esperienza comune è stata interiorizzata da tutti e che il relativo beneficio è leggibile quotidianamente, in ogni situazione specie nei momenti di gioco, a cui partecipano tutti indistintamente. Anche le ragazze giocano a calcio, dimostrando di stare bene insieme e di saper collaborare per il bene di tutti.

E’ chiaro che una volta risolte le problematiche con i pari migliorano i rapporti con gli adulti di riferimento sempre che questi ultimi non utilizzino modalità comunicative esclusivamente direttive, un eccesso di linguaggio verbale e sappiano ascoltare prima di giudicare. Se vengono a mancare questi prerequisiti è possibile che venga a mancare quella forma di rispetto che è essenziale in un rapporto formativo.

dott. Giulia SADILE

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D: Spesso sento dire da mia figlia dodicenne: ”Non mangio perché sono a dieta, devo curare la mia immagine”. Preoccupata del fatto che non è solo in famiglia che assume tale atteggiamento, ma anche durante i pasti scolastici o quando è ospite di amici e parenti, mi chiedo e le chiedo cosa posso fare? Da sola? O sarebbe opportuno l’aiuto di uno specialista?

R: Premetto che la nostra è la società dell’immagine: dovunque guardiamo, osserviamo immagini che mettono in risalto corpi scolpiti da una magrezza sconcertante.

Il problema da lei esposto è frequente tra la popolazione di giovani adolescenti d’età compresa tra gli 11 /12 e  i  25/30 anni.

Le ipotesi avanzate sulle cause (eziologia) di tale fenomeno sono prevalentemente rivolte all'adeguamento sociale nei confronti degli Status Symbol (promossi dalle tendenze della moda) senza tener conto che si tratta anche di manifestazioni di disagio interiore di natura affettivo - relazionale, e i soggetti che vengono sottoposti ad anamnesi clinica manifestano bassa autostima, carenza di rilevanti rapporti sociali, depressione e difficoltà nelle relazioni interpersonali.

Assistiamo spesso ad episodi di ragazzine che pur di avere un aspetto gradevole e socialmente condiviso (essere magre) si auto impongono, senza alcun parere medico, un regime alimentare così rigido da permettere loro di raggiungere l’obiettivo non tenendo conto che tale regime, inadeguato all’età, può causare danni all’organismo specie quando è in fase di crescita.

S’inizia quasi per gioco o per sfida. Se l’azione si protrae nel tempo e si nota che a questo atteggiamento si affiancano quelli che denotano disagio interiore, diventa necessario tenere la situazione sotto controllo: osservare, capire, non invadere, ma nello stesso tempo (nella consapevolezza di non poter risolvere il problema da soli), sarà opportuno parlarne col pediatra o con il medico di base che vaglierà la situazione e deciderà se e quando rivolgersi ad uno specialista .

Data l’ampiezza dell’argomento e per fornirle una risposta più completa ed esauriente, potrà leggere nella sezione “rivista” un articolo che approfondisce l’argomento stesso.

Nella speranza di esserle stata di aiuto,le porgo i più cordiali saluti.  

dott. Giulia SADILE

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D: Perché per i nostri ragazzi è così difficile scegliere la scuola superiore? E’ giusto seguire il consiglio orientativo che viene formulato dal consiglio di classe oppure noi genitori possiamo decidere per il futuro dei nostri figli?

 

R: Il momento della scelta dell’istituto superiore coincide col momento della fase particolarmente delicata dell’adolescenza, età dei cambiamenti radicali e di sviluppo in cui si è abbastanza disorientati per una serie di cause bio-psichiche che nella maggior parte dei ragazi creano una grande confusione. Ciò accade  anche perché non sempre coincidono le scelte operate dagli studenti con le aspettative dei genitori (che dai figli pretendono più delle loro reali possibilità) e con le indicazioni che vengono formulate dagli insegnanti in base al percorso scolastico avuto dallo studente.

Non è che vent’anni fa non esistesse tale problema ma era meno evidente,in quanto nella maggior parte dei casi erano i genitori a scegliere il percorso scolastico dei propri figli che avevano un certo timore e rispettavano le scelte fatte per loro senza opporre obiezioni.

Oggi il discorso è diverso. I ragazzi  vivono  in un contesto familiare dove vige nella maggior parte dei casi, una maggiore democrazia tra i componenti. Attualmente la diade genitoriale  è orientata a fornire ai propri figli protezione e sicurezza soddisfacendone i bisogni affettivi, economici e sociali. Il più delle volte i figli sanno di poter esprimere liberamente  le proprie scelte, condivise dai genitori, rispondendo così appieno ai propri bisogni che non sempre corrispondono con i consigli orientativi provenienti dalla scuola ,creando non poche difficoltà di gestione del disaccordo.

Premesso che la scuola come agenzia educativa  risponde alle esigenze dei ragazzi organizzando attività sull’orientamento scolastico, e che i ragazzi stessi hanno a disposizione un servizio di consulenza psicologica (lo sportello di orientamento a cui poter accedere in caso di difficoltà) credo che con molta tranquillità si possa rispondere  alla seconda domanda col dire che sarebbe opportuno dare ascolto al consiglio dei docenti. Tuttavia è più doveroso per un genitore, in possesso di elementi inconfutabili che permettano di eludere il consiglio orientativo, indirizzare il proprio figlio  verso un tipo di scuola  anziché un altro.

Cordialmente.

dott. Giulia SADILE

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D: Sono la mamma di un ragazzino di 11 anni che frequenta la prima media. Fin dalla scuola elementare mio figlio è stato definito un bambino iperattivo, impulsivo e disattento. Per il suo comportamento è stato penalizzato anche il rendimento scolastico. Questa situazione la vivo  con preoccupazione e anche con imbarazzo, perché spesso mi sento additata e ritenuta “incapace di educare mio figlio”. Vorrei sapere come poterlo aiutare e se è necessario un intervento rieducativo.

 R: Spesso sentiamo parlare di bambini che non riescono ad adattarsi alla vita scolastica, fatta di regole rigide che non sono abituati a rispettare. Sentono sempre il bisogno impellente di parlare al momento meno opportuno, di muoversi, agitarsi nel banco (che spesso non è comodo) e di alzarsi di continuo per fare una qualsiasi cosa: dal raccogliere una matita al gettare la carta nel cestino. Tutta questa irrequietezza, non di possibile e immediata gestione, fa si che si indichi quel quel ragazzo come un bambino iperattivo .Questo non significa che lo sia davvero. La situazione da lei delineata richiede quindi, una risposta sia a carattere informativo scientifico sia pedagogico clinico. Si legge nelle riviste scientifiche che nella scuola italiana, in ogni classe di 25 alunni c’è almeno un bambino iperattivo che soffre di un disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività. Questo disturbo è stato classificato con la sigla ADHD. Da studi effettuati negli ultimi dieci anni, si è riuscito a dimostrare che l’ADHD è un’alterazione neurobiologica dei circuiti preposti all’autocontrollo. Si tratterebbe di una malattia vera e propria “che non si vede” perché si manifesta solo come un disturbo comportamentale in soggetti intelligenti, con un QI nella norma se non superiore. Pertanto è raramente diagnosticata, inadeguatamente curata e scarsamente conosciuta sia tra le famiglie sia tra gli insegnanti che spesso definiscono iperattivi soggetti che possono essere ritenuti tali solo dopo un’attenta e accurata diagnosi. In Italia vivono circa centomila bambini con deficit d’attenzione e iperattività a cui si aggiungono sintomi secondari quali bassa autostima, ansia e aggressività. Per questi disagi le famiglie vengono, a torto, giudicate responsabili di una scorretta educazione ed emarginate dalla collettività scolastica. È di estrema importanza, quindi, una diagnosi precoce e precisa del disturbo che, se trattato a tempo debito, si risolve nel 70% dei casi. Le suggerisco, come forse lei ha già intuito, di far aiutare quanto prima suo figlio da uno specialista. Quest’ultimo, solo dopo aver fatto un’accurata diagnosi clinica, deciderà se e come intervenire in maniera adeguata. Nel caso volesse ulteriori chiarimenti mi può contattare via mail o per telefono. Cordiali saluti.

 dott. Giulia SADILE

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